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20 Aprile 2025 - Anno C - Pasqua di Risurrezione del Signore

Aggiornamento: 6 minuti fa


 

At 10,34a.37-43; Sal 117/118; Col 3,1-4 (1Cor 56b-8); Gv 20,1-9 (Lc 24,13-34)

 


“Vide e credette”


Le due immagini sono relative alla Via Paschalis (2022), realizzata da Luigi Razzano per l'Oasi dei PP. Cappuccini di Arienzo (Ce)
Le due immagini sono relative alla Via Paschalis (2022), realizzata da Luigi Razzano per l'Oasi dei PP. Cappuccini di Arienzo (Ce)

“Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto! Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro … ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.Giunse intanto anche Simon Pietro, … ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario … non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” (Gv 20,1-9).

La Liturgia del giorno di Pasqua prevede la possibilità di scegliere il brano evangelico tra due racconti delle apparizioni: quello di Giovanni 20,1-9 e quello di Luca 24,13-35, che noi commenteremo entrambi alla luce del passo paolino della lettera ai Romani 8,17: “Se davvero prenderemo parte alle sue sofferenze parteciperemo anche alla sua gloria”. Si tratta di un passo al quale abbiamo più volte fatto riferimento durante questo periodo quaresimale, poiché ci dà modo di mettere a fuoco il nucleo centrale dell’Evento Pasquale. Nessuno può sottrarsi a questa inevitabile condizione che Gesù ribadisce in modo inequivocabile ai due discepoli di Emmaus: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti: non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,25-26). L’evangelista Giovanni, traduce questa “necessità” con un gesto dal sapore teologico, quando, nel raccontare la sua esperienza, ci dice di essere sceso, insieme a Pietro, nel sepolcro di Cristo (cf. Gv 20,6). I due si recarono lì a seguito della notizia che Maria aveva recato loro, dopo aver scoperto il sepolcro vuoto già alle prime luci dell’alba (cf. Gv 20,1). Sconvolti e trafelati i due “correvano insieme”, per verificare l’attendibilità della notizia della Maddalena.

Entrati nel sepolcro presero atto dei “teli e del sudario”, ma il corpo di Gesù, effettivamente, era scomparso. Nonostante tutto, dinanzi a questo inaspettato scenario, Giovanni conclude la sua esperienza con una straordinaria formula di fede, che esprime con due verbi: “Vide e credette” (Gv 20,8). Si tratta di una formula espressa al termine di un’operazione spirituale, che accade misteriosamente nel segreto del cuore di ogni discepolo di Cristo che si accinge a ripercorrere fedelmente l’itinerario salvifico del maestro. In essa convergono e interagiscono insieme intelligenza, memoria e ragione, facoltà che è utile considerare insieme a quella che Cristo compie a favore dei due discepoli di Emmaus quando “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò si riferiva a lui” (Lc 24,27). “Spiegare” (dal latino explicare, composta da ex “fuori” e plicare “piegare”) significa “uscire o portare fuori dalle pieghe”. Gesù, ripercorrendo tutta la sua vicenda storica alla luce delle testimonianze profetiche, aiutò i discepoli a uscire, o meglio a superare, tutti quei pregiudizi e false interpretazioni che impedivano, come le pieghe della storia, la visione chiara dell’Evento Pasquale. Allo stesso modo i discepoli di Emmaus, condividendo il gesto di Gesù dello “spezzare il pane” (cf. Lc 24,25-26), parteciparono anch’essi della sua passione e morte. Nell’uno e nell’altro caso occorre giungere a “spezzare se stessi”, ovvero a morire alla propria razionalità e mentalità culturale per acquistare lo sguardo di fede, che consente di riconoscere nella nostra storia la modalità con cui Dio realizza il suo piano salvifico. Esattamente quello che Pietro compie nella casa di Cornelio, quando, ripercorrendo la vicenda di Gesù, offre al centurione della coorte romana, i criteri per riconoscerlo come il “consacrato da Dio nello Spirito Santo”, nel quale c’è perdono e salvezza dai propri peccati (cf. At 10, 34a.37-43). “Fare memoria”, “spiegare”, “capire” diventano allora le condizioni per riconoscere Gesù nella sua nuova veste di Risorto (cf. Lc 24,30-31).

Non basta dunque assistere agli eventi della passione e morte di Gesù, come fecero tutti coloro che sono stati descritti nei racconti evangelici; così come non basta celebrarli attraverso i riti liturgici della Settimana Santa, come facciamo noi, oggi; occorre che ciascuno prenda personalmente parte di essi, mettendo in atto tutte quelle operazioni che comportano l’atto di fede. Occorre una rilettura sapienziale di tutti i momenti in cui Dio si è manifestato nella nostra vita, per individuare quel filo conduttore che lega la nostra vicenda storica all’originaria salvezza che Dio ci offre in Gesù. È in questa partecipazione personale che ciascuno di noi fonda e rinnova la propria fede in quella della Chiesa, costituita dalla radice “apostolica”, grazie alla quale anche noi possiamo ripetere con l’evangelista Giovanni: “Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita ... noi lo annunziamo anche a voi, perché voi siate in comunione con noi … col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1Gv 1,1-4) e ribadire con Pietro che “siamo testimoni prescelti di tutte le cose da lui compiute” (At 10,39), ovvero coloro ai quali Cristo “ha ordinato di annunciare al popolo … che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio” (At 10,42). È in questa rinnovata prospettiva ecclesiale della fede che possiamo ridare vigore all’esortazione che Paolo rivolge ai Colossesi: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio” (Col 3,1-2). Non è possibile “Cercare le cose di lassù” senza fondare la propria fede nella passione di Cristo. È da questo fondamento che possiamo attingere il lievito dello “Spirito che fa nuove tutte le cose” (cf. Ap 21,5), ovvero di colui che dà origine alla “vita nuova in Cristo” (cf. Col 3,1-4). “Le cose di lassù” di cui parla Paolo, costituiscono la radice e il fondamento della nostra esistenza. È qui che possiamo riscoprire il senso e il gusto dell’eternità, del quale, oggi, abbiamo più che mai urgentemente bisogno, per non cedere alla tentazione della disperazione, così diffusa nella nostra vita culturale e sociale, e purtroppo ahimè, anche in quella ecclesiale.

L’augurio che rivolgo a ciascuno di voi è quello di avere il coraggio di scendere, come Giovanni e Pietro, nel sepolcro di Cristo, o meglio, nel sepolcro delle nostre sofferenze, e “lasciarsi spezzare”, come il pane che Gesù offre ai due Discepoli di Emmaus, dall’amore salvifico di Cristo, per trovare la passione delle “cose di lassù”, e ripetere, nonostante il dilagante nichilismo e relativismo culturale e religioso, come i primi discepoli: “Cristo è risorto! È veramente risorto!”.

 

 

 

 

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