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26 Gennaio 2025 - Anno C - III Domenica del Tempo Ordinario


 

Ne 8,2-4a.5-6.8-10; Sal 18/19; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21

 



Il compimento della profezia

nell’oggi della fede



“Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi …, anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teofilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (cf. Lc 1,1-4).

“In quel tempo, Gesù ritornò … a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me … Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

La Liturgia della Parola ci propone quest’oggi un brano evangelico composto da due episodi: l’inizio del Vangelo di Luca e l’inizio della predicazione pubblica di Gesù. Entrambi fanno riferimento allo stesso annuncio: quello della Buona Novella. 

Nel rileggere l’inizio del Vangelo di Luca, prendiamo atto che tra tutti gli evangelisti egli è l’unico a giustificare le ragioni della sua fede in Cristo. Nessun altro come lui spiega il motivo che lo ha condotto a “scrivere un resoconto ordinato”, affinché ogni destinatario “possa rendersi conto della solidità degli insegnamenti che ha ricevuto”. Questa premessa introduttiva ci pone subito un interrogativo: come possiamo pervenire anche noi a questo fondamento “solido” della fede? Nel rispondere trovo interessante partire dal destinatario del suo Vangelo che egli qualifica come “Teofilo”. Letteralmente significa “amante di Dio” o “amato da Dio” (dal greco theos = Dio e philos = amico, amato, amante). Dal significato del nome si capisce allora che ciascuno di noi, nella misura in cui si scopre amato da Dio o amante di Dio, può essere il destinatario del suo Vangelo. Costui, a giudizio dell’autore, non può limitarsi a ereditare passivamente la fede, al contrario, è chiamato a “mettere ordine”, che consiste nel ‘disporre le cose distintamente dandole un ordine’. Nel nostro caso specifico significa ‘sistemare’ i dati provenienti dall’insegnamento di Cristo e dalla tradizione, in modo da coglierne il senso. In altre parole Luca chiede al suo destinatario di compiere esattamente l’operazione svolta da lui stesso, quando decide di verificare e fondare il contenuto che gli è stato trasmesso, prima di metterlo per iscritto[1].

È interessante notare come questa operazione richiesta da Luca rifletta quella compiuta da Dio durante la creazione. Anche Dio, nel creare la materia primordiale e informe, le conferisce un ordine, dandole una forma, una vita, un senso. La Bibbia, come anche la filosofia, traduce questo atto divino come il passaggio dal caos (senza ordine) al cosmos (mettere ordine). Passare dal caos al cosmos è quanto ciascuno di noi è chiamato a fare con tutta quella serie di dati e informazioni, apparentemente disordinati, come: eventi, fatti, esperienze, racconti, letture, ricordi … che eredita dalla tradizione religiosa, ai quali deve dare un senso logico, al fine di “comprendere quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” (Ef 3,18) dell’amore che Dio ci ha rivelato in Cristo Gesù, così da essere “pronti a dare ragione della fede a chiunque ce ne domandi conto” (cf. 1Pt 3,15). Mettere “ordine” nelle cose della fede significa, in ultima analisi, intuire il Logos di cui parla Giovanni nel suo Prologo 1,1-3, ovvero la ragione, il senso, lo scopo del disegno salvifico di Dio, per mezzo del quale e in vista del quale egli ha fatto ogni cosa (cf. Gv 1,3; Col 1,15-20; Eb 1,1-3).

Il brano evangelico fa tuttavia riferimento – come dicevamo – anche ad un altro “inizio”, e precisamente quello relativo alla vita pubblica di Gesù, che Luca fa coincidere col discorso inaugurale che Gesù tiene nella sinagoga di Nazaret. Anche in questo caso Luca è l’unico evangelista a premettere la predicazione di Gesù al racconto della chiamata dei primi discepoli, come a voler integrare quella sobrietà descritta dagli altri evangelisti, che invece pongono i discepoli alla sequela di Gesù senza una previa conoscenza del suo messaggio.

Proviamo allora a commentare questo esordio di Gesù nella sinagoga di Nazaret, che ci vedrà impegnati anche domenica prossima. Nel ricostruire la scena, Luca ci racconta del ritorno di Gesù al suo paese d’origine a seguito di un invito dei suoi compaesani. Egli, infatti, abitava a Cafarnao[2], dove si era trasferito per dare inizio alla sua predicazione. Da qui la sua fama si era rapidamente diffusa dovunque, fino a giungere al suo paese d’origine. I Nazaretani, mossi evidentemente anche da un orgoglio paesano, decidono di averlo nella loro sinagoga, per un momento di preghiera comunitaria. Gesù accetta l’invito e come era solito fare, si reca di sabato nella sinagoga, dove, seguendo la tradizionale liturgia della preghiera[3], sale sulla tribuna di legno (che corrisponde al nostro ambone), dalla quale proclama e commenta un brano del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore” (Is 61,1-2). Tutto si svolge in un clima solenne che non nasconde la particolare euforia, dovuta anche all’incontro cosi atteso con quel concittadino illustre e autorevole, quale si era rivelato Gesù. L’evangelista Luca – come un esperto narratore – si sofferma però solo su alcuni momenti della celebrazione, in modo particolare quello in cui Gesù, una volta consegnato il rotolo del profeta, sta per cominciare il suo commento. “Gli occhi di tutti erano fissi su di lui”, ci dice Luca, come a volere sottolineare l’intrepida attesa che l’assemblea manifesta nell’ascoltare la novità della sua parola.

Ma inaspettatamente accade un imprevisto. Gesù fa un commento estremamente sobrio, limitando il suo intervento alle seguenti parole: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Non sappiamo se Gesù si sia effettivamente limitato a dire solo queste brevi parole o se esse siano la sintesi che Luca fa del suo commento. Sta di fatto che costituiscono il nucleo vitale del discorso di Gesù. Lungi dal prolungarsi in preamboli vari, Gesù va diritto all’essenziale, concentrando l’attenzione degli ascoltatori esclusivamente sul compimento di quella profezia isaiana: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete ascoltato”. Pertanto mentre Isaia si era limitato a prefigurarla, Gesù ne determina l’accadimento storico. Questa affermazione si rivela di fondamentale importanza perché Gesù dà qui prova di essere il Messia promesso, colui che realizza le profezie dell’Antico Testamento. I segni ai quali fa riferimento sono, infatti, quelli che attestano la sua messianicità. Egli annuncia la sua missione di portare salvezza e liberazione, non solo in senso spirituale, ma anche sociale e fisico.

Nel meditare questo episodio mi piace associarlo a quello capitato nella Sinagoga di Cafarnao, riportatoci dall’evangelista Marco, dove nell’ascoltarlo i presenti “rimasero stupiti del suo insegnamento, perché insegnava come uno cha ha autorità e non come gli scribi” (Mc 1,22). In cosa consiste questa autorità che tanto colpisce gli ascoltatori di Gesù? Gesù si rivela una persona estremamente autentica e credibile, al quale è difficile confutare ciò che dice e fa. La sua autenticità ste nel fare ciò che dice, mentre la sua credibilità sta nell’esplicitare ciò che fa. La sua parola è tanto persuasiva quanto la testimonianza della sua vita. Il segreto della sua autorevolezza sta nell’unire fatti e parole. Profezia e testimonianza diventano nella sua persona un tutt’uno inscindibile, tanto da costituire l’accadere stesso di Dio tra gli uomini. In lui la parola umana diventa Parola di Dio e questa costituisce la vita degli uomini, esattamente come afferma Giovanni nel Prologo: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4). In Cristo la parola di Dio manifesta tutto il suo potere creativo, comunicativo e operativo. In questo senso l’oggi della fede di cui parla Gesù si compie tutte le volte che come lui rendiamo credibile, visibile e operativa la Parola di Dio con la nostra testimonianza di vita.

In un contesto culturale e sociale come il nostro, dove le parole e i fatti sembrano essere ridotti a un puro nominalismo, il commento di Gesù sulla profezia di Isaia diventa un monito per chiunque è chiamato ad esercitare nella Chiesa l’ufficio dell’insegnamento o della “docenza”, come lo definisce san Paolo (cf. 1Cor 12,28), e più estesamente, per chiunque svolge il compito dell’evangelizzazione e della catechesi. In particolare per i sacerdoti che si ritrovano a svolgere un compito così delicato e decisivo nella Chiesa, come l’omelia, spesso ridotta a uno sterile, noioso per non dire banale, quanto scontato commento personale. E in certi casi teso più a ostentare la propria erudizione, che non a suscitare il gusto e l’amore per la Parola di Dio. Per queste ragioni più che mai si avverte l’esigenza profetica di lasciar parlare Dio attraverso la loro parola, così da renderlo visibile con la loro persona. Da qui l’impellente bisogno di evangelizzatori che sappiano far emergere tutto lo straordinario potere creativo e trasformativo della Parola di Dio, così da renderla vera, viva ed efficace (cf. Eb 4,12), capace cioè di penetrare nel cuore delle persone e generarvi la vita stessa di Dio.

Pertanto tutti coloro che, in diversi modi e forme, sono chiamati a insegnare e commentare la Parola di Dio non dovrebbero mai dimenticare che hanno a che fare con una realtà viva, perennemente nuova e rigenerativa (cf. 2Cor 5,17; Ap 21,5). Il che significa che essa dispone di un significato inesauribile e che mai nessuna interpretazione, per quanto profonda e autentica, potrà esaurire. E ciò vale anche per chiunque s’impegna ad attualizzarla. Nessuna attualizzazione è mai definitiva. Interpretazione e attualizzazione riflettono sempre la fede del singolo o della comunità che l’ha incarna nella storia.


[1] Non si esclude che la formazione scientifica di cui disponeva Luca abbia contribuito a questa esigenza critica della fede. Secondo la tradizione pare che sia stato medico, prima di convertirsi al cristianesimo, così infatti lo definisce Paolo nella lettera ai Colossesi 4,14. Tra gli evangelisti è l’unico di origine pagana. Si spiega così l’attenzione che ebbe per cristiani provenienti dal paganesimo, ai quali destina il suo Vangelo, come attesta anche il suo racconto dell’annuncio di Paolo ai Gentili, descritto nel libro degli Atti.

[2] Cafarnao costituiva un po’ il ‘quartiere generale’ di Gesù e della sua piccola comunità di discepoli. Egli aveva deciso di trasferirvisi all’inizio della sua vita pubblica, poiché rispetto a Nazaret, situata nell’entroterra della Galilea, sorgeva sull’omonimo lago (lago di Cafarnao o di Genesaret, a seconda della città di riferimento), per questa ragione offriva maggiori possibilità di interazioni con le persone. Ed è proprio sulla riva di questo lago che egli incontra, conosce e chiama i primi discepoli alla sua sequela.

[3] Gesù, in questo momento di preghiera, segue il rituale previsto dalla liturgia della parola che si rifà allo schema descritto nel libro di Neemia 8,2-4a.5-6.8-10 (prima lettura), dove compaiono importanti elementi liturgici che struttureranno in seguito anche la preghiera settimanale cristiana. La sinagoga costituisce il luogo ufficiale della preghiera, a seguito della distruzione del tempio e della deportazione degli ebrei in Babilonia, i quali non disponendo più di un luogo dove offrire i propri sacrifici a Dio trasformarono le case private o pubbliche in luoghi dover riunirsi per la loro preghiera. 

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