28 Marzo 2021 - Domenica delle Palme Anno B
- don luigi
- 28 mar 2021
- Tempo di lettura: 8 min
Mc 11,1-10; Sal 23/24; Is 50,4-7; Sal 21/22; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
La logica della Passione di Gesù

Il cammino di conversione che abbiamo avuto modo di considerare e sviluppare nelle sue diverse dimensioni, durante questo tempo quaresimale, traduce il passaggio dall’antica e abitudinaria prassi religiosa a quella nuova e straordinaria relazionalità con Dio che ci viene dalla fede di Cristo. Anch’egli, nel corso della sua vita, si è progressivamente convertito alla volontà di Dio, aderendo in tutto e per tutto a quel piano salvifico divino che lo Spirito dischiudeva alla sua intelligenza. La Passione, sulla quale concentreremo tutta la nostra attenzione nel corso della Settimana Santa, non fa che esplicitare la logica di vita di Gesù, con la quale egli ha dato prova della sua libera e piena disponibilità alla volontà di Dio. È qui che si racchiude tutto il senso del suo amore evangelico; qui si comprende anche il segreto e la ragione che giustifica il nostro desiderio di renderlo ancora credibile nell’oggi della nostra fede e della nostra cultura sociale. Non avrebbe senso celebrare gli eventi della Passione di Cristo se riducessimo tutto ad una nostra sterile partecipazione passiva. Nulla invece la rende attuale ed efficacemente trasfigurativa come la nostra piena disponibilità all’azione del suo Spirito in noi. Non si tratta solo di ricordare o imitare quello che Gesù ha detto e fatto durante la Passione, ma di tradurlo nel vissuto quotidiano della nostra fede, nelle diverse situazioni, forme e accezioni che la vita ci riserva. Non importa l’ambito o la modalità con cui essa si manifesta. Ciascuno di noi ha una “passione”, una causa o un piano divino da portare a compimento. Essa può manifestarsi nell’ambito più ristretto della famiglia, come quello più ampio e sociale del lavoro, dell’arte, della politica, dello sport. Può esplicitarsi nella forma di una beatitudine (cf. Mt 5,3-9) o più chiaramente in quella della persecuzione (cf. Mt 5,10-12). Ciò che conta è rinnovare personalmente, nel segreto del cuore (cf. Mt 6,6), il proprio sì a Dio e rimanervi fedeli, malgrado le circostanze e le avversità, fino alla fine; esattamente come ha fatto Gesù, anche quando, come lui, prendiamo coscienza della violenza con cui si potrebbe manifestare la morte. Tanta gente soffre eppure non si redime, al contrario si dispera. Per patire con Cristo non basta soffrire, occorre significare, capitalizzare tutte le forme con cui il dolore si manifesta nella vita e orientarle verso l’unica causa salvifica di Dio. Solo quando il dolore viene accolto, vissuto e donato con amore, rende efficace e vivo il fuoco dell’amore di Dio nel mondo. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49), dice Gesù a testimonianza della passione divina che nutre la sua esistenza. La sua è una passione che va e intesa non solo come pathos, ovvero come sofferenza, ma anche come desiderio struggente d’amore che Cristo nutre per il mondo, quale principio, senso e fine della sua prassi evangelica.
La Passione con cui Gesù vive gli ultimi giorni della sua vita è comprensibile e attualizzabile solo alla luce dell’originario, infinito e totale amore di Dio, quale principio del suo profondo amore per l’uomo e per il mondo. È qui la sorgente della Passione di Cristo. Fuori da questo amore ogni azione umana rischia di ridursi solo ad una filantropia. In Cristo invece ogni atto a favore dell’uomo diventa un segno manifestativo di quello divino e acquista valore redentivo. La via della salvezza, a differenza di quella del successo, segue la logica del granello di senape (Mt 13,31-33; Mc 4,30-32; Lc 13,18-19). Perciò essa si manifesta nelle piccole cose, come possono essere i gesti, apparentemente insignificanti, con cui ci relazioniamo alle persone nel vissuto quotidiano. E soprattutto segue la logica del chicco di grano (cf. Gv 12,24-26), che comporta il rinnegamento culturale; condizione che Gesù richiede a chiunque decide, come i Greci (cf. Gv 12,20-22) di accostarsi a lui, per conoscere il segreto della sua esistenza evangelica. Anche noi, incuriositi da questa ansia che anima la vita di Gesù, vogliamo superare i diversi pregiudizi culturali che limitano la nostra comprensione piena del suo amore evangelico ed inoltrarci, con maggiore lena, a vivere questo scorcio quaresimale.
È con questa premessa che vogliamo accostarci e vivere la Passione di Cristo, per osservare più da vicino la modalità con cui egli si è lasciato guidare dallo Spirito in un momento, come questo della Passione, particolarmente decisivo della sua vita. Anche noi come lui vogliamo lasciarci ispirare dai diversi brani biblici che la liturgia ci propone per questa circostanza, per riconoscere e accogliere la modalità con cui la Passione di Cristo si manifesta nella nostra vita. Ciascuno è chiamato ad attuarla come meglio può, secondo le modalità che lo Spirito gli suggerisce e le capacità interpretative di cui dispone. In questo senso ciascuno dovrà verificare e fare i conti, di volta in volta, con i propri slanci spirituali, ma anche con le proprie resistenze, le proprie riluttanze e paure e capire come imparare a vincerle, non solo sulla base della propria volontà e disponibilità, ma soprattutto su quella della grazia che in modo tacito e segreto opera misteriosamente in noi. Più che commentare i singoli brani biblici, perciò, mi limiterò ad offrirvi delle chiavi di lettura, per cogliere la modalità con cui la Passione di Cristo accade e si rinnova nella nostra vita, personale ecclesiale e sociale, tutte le volte che, come lui, decidiamo di condividere e portare a compimento la volontà salvifica di Dio nel mondo.
Il segreto sta dunque nel comprendere e sposare la causa stessa evangelica di Gesù. Tergiversare su di essa, resistere o rifiutarla significa solo dilazionare nel tempo le nostre decisioni, rischiando di perdere l’opportunità che Dio ci dona per realizzarla. La ragione che ha dato il la alla causa evangelica di Gesù ha origine, come ci lascia intendere san Paolo nella lettera ai Filippesi 2,6-11, nell’amore con cui Dio ha motivato e continua a motivare il suo desiderio di salvare ciascuno di noi, malgrado i nostri dubbi, incertezze e indecisioni. Farsi uomo per Cristo ha significato prima di tutto accogliere e fare proprio questo desiderio di Dio, per poi calarsi nei meandri più oscuri della natura umana, lì dove l’uomo decide e matura la sua indipendenza, sottraendosi alla relazione con Dio, ed illuminarla con la luce del suo Spirito. San Paolo ha argutamente colto che fuori di questo originario moto d’amore di Dio, null’altro avrebbe potuto motivare e rendere possibile l’incarnazione del Figlio, e soprattutto nulla avrebbe reso efficace il piano salvifico del Padre che Gesù aveva deciso di portare a compimento. Intanto Cristo salva in quanto ha manifestato e realizzato in tutta la sua ampiezza, larghezza, lunghezza, altezza e profondità, l’amore di Dio (cf. Ef 3,18-19). Solo l’amore di Dio salva. E Cristo ne è stata la testimonianza più autentica e piena. Ciascuno di noi in lui si santifica santificando: partecipando cioè del suo amore e incarnandolo nel proprio vissuto quotidiano. In questa prospettiva la nostra opera evangelizzativa ci salva e salva solo nella misura in cui diventa il riflesso di quella di Cristo in noi. Ognuno, come dice Chiara Lubich, è chiamato a distendere Cristo nel tempo, ovvero a perpetuare nella storia l’opera incarnativa di Dio, finché Dio non sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28).
Questo inno cristologico (probabilmente un’antica professione di fede, di cui si faceva uso in ambito liturgico) che san Paolo riporta nella sua lettera, mette a fuoco il nucleo centrale della fede cristiana: non solo l’amore che motiva l’opera incarnativa di Dio, ma anche la metodologia della Passione con cui Cristo rivela la presenza di Dio in lui. Parola chiave di questa, per così dire, ‘tecnica’ rivelativa di Cristo è la kenosi che letteralmente significa svuotamento. Anche noi come Cristo siamo chiamati a svuotarci di tutto ciò che, in qualche modo, può costituire un privilegio umano per vivere la nostra fede e la nostra esistenza, affinché il piano di Dio si attui solo in virtù dell’opera di Dio in noi, senza fare appello a nessuna qualità umana, ma solo all’amore redentivo di Dio. Non si tratta di saper soffrire, magari con tenacia, ma di imparare a soffrire come Cristo: per l’amore di Dio che scorre nel suo amore per l’uomo. Amare in questo modo significa svuotarsi di tutti i tentativi che ciascuno di noi mette in atto per attirare l’attenzione su di sé, mentre compie un’azione a favore dell’altro; e fare di tutto perché l’attenzione cada solo sull’opera di Dio in noi, esattamente come ha fatto Gesù, il quale ha compiuto tutto in funzione del Padre, per rendere a lui solo gloria (cf. Gv 17,1-5). Tradurre tutto ciò nel nostro contesto relazionale significa resistere e sottrarsi a tutte quelle forme di narcisismo che albergano in noi e nella nostra cultura sociale e fare solo ciò che ha il Regno di Dio come principio, senso e fine. Svuotarsi significa rinunciare a tutti quei tentativi con cui facciamo emergere l’io e far convergere verso Dio tutto ciò che pensiamo, decidiamo, diciamo e facciamo. Ecco la logica di vita che ha animato l’esistenza di Gesù e alla cui luce ha vissuto ogni relazione interpersonale. È lasciandoci animare da questa nuova logica relazionale che anche noi possiamo rinnovare dall’interno la nostra esistenza e quella delle persone e degli ambiti in cui siamo chiamati a vivere la fede.
Questa logica relazionale trova nella Passione di Cristo la testimonianza umana più autentica e credibile. Essa affonda le sue origini nei carmi del profeta Isaia, di cui la liturgia ci propone oggi quello del capitolo 50,4-7. Gesù si è lasciato ispirare e guidare da questo scritto isaiano durante i momenti più terribili della sua Passione: “Non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, … non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50,5-6). Nei momenti in cui istintivamente ogni uomo è portato a difendersi dalle avversità, Gesù le interpreta e le vive come luoghi e modi con cui si manifesta la volontà di Dio su di lui. Egli pur avendo la possibilità di scegliere la via della gloria personale, decide di perseguire la logica glorificativa del Padre. Pur potendo vivere da ‘dio’, da potente sovrano che sottomette a sé ogni cosa, ha deciso di vivere da uomo e perfino da servo (schiavo) (cf. Fil 2,7). Anche l’autore della Lettera agli Ebrei contribuisce a rendere più esplicita questa logica di vita di Gesù, quando afferma che egli “in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia” (Eb 12,2). È in questa logica che egli trova la ragione per dire sì a Dio in tutte quelle forme di sofferenze che si presentano nella sua vita. È da questa stessa logica che anche noi possiamo attingere la forza per rinnovare il nostro sì a lui. Essa ci dà la luce per accedere al mistero della sofferenza e più specificamente al segreto che ha spinto Gesù a vivere la sua esistenza evangelica. La Passione di Cristo diventa così la chiave di ogni sofferenza umana, ovvero la via, il metodo, la condizione che ne svela il senso.
Il brano evangelico della Passione di Cristo secondo Marco ruota tutto intorno a questo mistero, senso e modo con cui Cristo ha vissuto la sua sofferenza. Paradossalmente, tra tutti coloro che, come i discepoli, erano stati educati dallo stesso Cristo, a vivere la sua la sua Passione e morte, come attestano i suoi annunci della Passione (cf. Mc 8,31-9,1; 9,30-31; 10,32-34), gli unici due che ne comprendono il senso sono stati il Centurione (cf. Mc 15,39) e il Ladrone (cf. Lc 23,42-43). Essi, a differenza di quanti chiedevano segni: “scendi dalla croce” (Mc 14,32), hanno creduto nella testimonianza dell’amore di Dio che Cristo ha reso con la sua Passione. Quale segno dell’amore di Dio più evidente di questo?
Anche noi come loro chiediamo al Signore la luce che illumina la nostra intelligenza spirituale, con la quale maturare la nostra decisione di conformare alla logica di vita di Cristo le relazioni con quanti il Signore ci dona di incontrare durante questa Settimana Santa. Anche noi, come il ladrone, vogliamo imparare a vivere ogni attimo della vita come fosse l’ultimo momento in cui abbiamo la possibilità di esternare a Dio il desiderio più recondito ed inespresso che ci portiamo nel cuore: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E quanto vorremmo anche noi sentirci ripetere da Cristo: “In verità ti dico, oggi stesso sarai con me in paradiso”. Ecco il fine della nostra conversione e il senso della nostra Quaresima. E quale esito più luminoso e caloroso di questo potremmo desiderare già nell’oggi della nostra fede?
Yorumlar