top of page

9 Marzo 2025 - Anno C - I Domenica di Quaresima


 

Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13

 



tentazione:

prova di conversione



“In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo …Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato”.

Mercoledì scorso, col rito delle Ceneri, la Chiesa ci ha introdotto nel tempo della Quaresima, offrendoci anche gli strumenti per iniziare il cammino di conversione, come: il digiuno, l’elemosina e la preghiera. Col brano evangelico di oggi ci pone, invece, immediatamente davanti alla dura realtà della tentazione (cf. Lc 4,1-13). Posto in questi termini il cammino di conversione, appena cominciato, sembra essere già sottoposto a un banco di prova. In realtà noi cogliamo questa proposta liturgica come l’occasione per addentrarci nel mistero di questa difficile realtà morale e spirituale, lasciandoci stimolare da alcune domande, del tipo: cos’è la tentazione? Da dove o da chi ha origine? Con quale forma si manifesta? Come riconoscerla? Come vincerla? Si tratta di domande molto impegnative alle quali cercheremo di rispondere nel modo più semplice possibile, senza tuttavia avere la pretesa di essere esaustivi; consapevoli di offrire solo qualche chiarificazione teologica e indicazione pratica.

È interessante notare che tutta la storia della fede biblico-cristiana è disseminata di questa realtà. Di essa viene data una duplice interpretazione: quella che la intende come influsso negativo che il demonio esercita sull’uomo inducendolo al male, come attesta il libro della Genesi nei capitoli 3-4,1-16; e quella che la intende come prova tesa alla perfezione della fede, come lasciano intendere i testi della lettera di Giacomo 1,2-4[1]; della prima lettera di Pietro 1,6-7[2]; e della lettera agli Ebrei 12,4-7[3]. Comunque viene intesa la sua realtà ci rimane avvolta nel mistero, nonostante tutti gli sforzi teologici che sono stati fatti per comprenderla.

Senza escludere l’imprescindibile dimensione morale e teologica, noi cercheremo di soffermarci maggiormente sulla seconda interpretazione, augurandoci di cogliere il significato che essa può avere nel cammino di conversione. Colta in questa chiave la storia della fede ci attesta che tutti sono stati messi alla prova: da Abramo (cf. Eb 11,17) a Gesù, il quale “pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,8-9). La tentazione sembra dunque direttamente proporzionale alla fede, la quale cresce e matura attraverso le prove. “Beato colui che sopporta la tentazione” – dice Giacomo nella sua lettera – “poiché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore promette a chi lo ama” (Gc 1,12). In questo senso essa è tanto più impegnativa quanto più ci si decide seriamente per la vita spirituale: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1). Inizia così l’istruzione del Siracide, come a voler predisporre ogni candidato a una lotta ineludibile. “Chi non è tentato, non sarà salvato”, ribadisce da parte sua anche sant’Antonio Abate. In effetti si tratta di un aspetto delicato, ma fondamentale perché attraverso di essa viene verificata la consistenza della nostra fede. Tentare infatti significa tastare, verificare, provare, esaminare. La tentazione serve quindi a verificare l’autenticità della conversione, come emerge da questo passo del Deuteronomio: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi” (Dt 8,2).

Tra i documenti neotestamentari quello di Giacomo sembra essere quello più specifico nel descrivere la dinamica e la forma della tentazione[4]. Egli dice che la tentazione ha origine con la concupiscenza e non smette finché non viene raggiunto l’appagamento. L’appagamento, poi, porta al peccato, e “il peccato quando è consumato, produce la morte (cf. Gc 1,15). Così descritta la tentazione riguarda ogni ambito della vita umana. Una visione questa che contrasta con l’opinione comune che l’associa o la riduce esclusivamente alla dimensione sessuale. Pertanto ciascuno può essere tentato da: oggetti, persone, potere, cibo, successo, ricchezza, prestigio … Nessuno, dunque, è esente dalla tentazione, neppure Gesù, come ci attestano tutti gli evangelisti, quando lo ritraggono nel deserto, dove viene condotto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo[5] (cf Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13; Gv 1,29-34). È interessante notare quest’azione dello Spirito che conduce Gesù ad essere tentato nello specifico della sua identità e della sua missione. Tutte e tre le tentazioni di Gesù ruotano intorno a questi due misteri fondamentali: identità divina e missione salvifica. Ora, senza soffermarci sul significato delle tre tentazioni, noi intendiamo evidenziare invece il modo con cui Gesù si sottopone volontariamente a questa terribile prova, che supera non già ricorrendo al suo potere divino, che lo avrebbe certamente favorito nella vittoria, e neppure appellandosi solo alle sue virtù, di cui certamente disponeva se consideriamo il prolungato digiuno nel deserto, ma confidando principalmente nella parola di Dio, come ribadisce a conclusione di ogni tentazione: “sta scritto” (cf. Lc 4,4.8.12). Anche Gesù, al pari di ogni pio ebreo, confida principalmente in Dio: “Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido” (Sal 90). A questo proposito San Paolo, nella sua lettera ai Romani 10,12-13, ci ricorda che “Chiunque crede in lui non sarà deluso” e “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo”. Gesù, senza escludere il concorso delle virtù (cf. Lc 4,2), ci rivela lo straordinario potere della preghiera, quale strumento fondamentale per dominare la tentazione, come lui stesso dirà ai suoi discepoli: “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” (cf. Mc 9,29).

La testimonianza evangelica, relativa alle tentazioni di Gesù, ci offre così la possibilità di mettere a fuoco il segreto per riconoscerla, accettarla, attraversarla e superarla. Lungi dall’evitarla Gesù la percepisce come costitutiva della sua vita spirituale tanto che ne fa menzione perfino nella preghiera del Padre nostro, quando dice: “E non indurci nella tentazione”, come traduceva la precedente versione, poi adattata nell’attuale formula: “Non abbandonarci alla tentazione”. In realtà la traduzione precedente lungi dal ritenere Dio come principio del male lo considerava come all’origine della prova, come attesta anche l’autore del libro di Giobbe, quando fa dire al protagonista: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male” (Gb 2,10). In effetti è Dio che mette alla prova la fede, e lo fa paradossalmente attraverso il diavolo, come lasciano intendere anche gli evangelisti, quando affermano che Gesù pieno di Spirito Santo, fu guidato nel deserto dove fu tentato dal diavolo (cf. Lc 4, 1ss e //). Ma se Dio è all’origine della prova è anche all’origine della preghiera con la quale Gesù ci insegna a chiedere la forza per non cadere in essa: “Liberaci dal male”. Egli ci mette alla prova per farci suoi figli, come Gesù.    

La difficoltà a capire l’origine e la forma della tentazione fa sentire ancora più impellente la necessità del discernimento. A questo proposito sembrano interessanti le indicazioni di sant’Ignazio di Loyola, per il quale il discernimento consiste nella capacità di acquisire i criteri per riconoscere se un pensiero viene da Dio, dall’io o dal nemico. Comunque sia l’origine quando si è tentati rimane vero ciò che dice sant’Agostino: “peccato non è sentire, ma l’acconsentire”.

Si rivela perciò quanto mai attuale il versetto del primo salmo: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, benedetto l’uomo che confida in Dio”. Fedele a questa tradizione spirituale Gesù vince la tentazione senza confidare nella sua divinità, ma nella sua relazione col Padre. Il che significa che la tentazione non si vince appellandosi a qualche forma di potere soprannaturale e neppure confidando nelle sole virtù, ma alla preghiera di abbandono fiducioso in Dio. Solo chi lascia agire lo Spirito in se stesso potrà vincere. Lungi dal sottrarsi o cedere ad essa Gesù ci insegna a vivere le diverse tentazioni di cui potremo essere oggetto in questo periodo quaresimale, come occasione per dare prova dell’autenticità della nostra conversione. Vi suggerisco perciò di pregare con calma il Salmo 90, così da presentare al Signore le nostre vittorie o sconfitte nella prova, piccole o grandi che siano (cf. Dt 26,10).

 

 

 

 


[1] “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla”.

[2] “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo”.

[3] “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?”.

[4] A proposito di dinamica e forma il libro della Genesi, nel tentativo di descrivere questi aspetti, ricorre all’immagine del “serpente” (Gen 3,1). Si tratta di un’immagine simbolica, con la quale allude al modo con cui il maligno affascina, incanta, suggestiona, illude e avviluppa con le sue spire la preda prima di aggredirla, esattamente come fa un serpente. Questa immagine comunque ci ricorda che il male costituisce un concorso esterno. Il peccato tuttavia può originarsi anche nel cuore dell’uomo, quando questi comincia ad assimilare la logica di vita del serpente, come lascia intendere il dialogo che questi intesse con Eva (cf. Gen 3,1-6). 

[5] Diavolo è però solo uno dei nomi con cui viene qualificato il tentatore. La tradizione biblica, apostolica e patristica ce ne offrono anche altri come: Satana, Belzebul, Belial, Belfagor, Lucifero, Leviatan, Mefistofele, Moloch, Mammona, Asmodeus … e tanti altri. Tutti nomi con un preciso significato che intendono qualificare la funzione, l’identità o la natura di colui che nei Vangeli viene definito Diavolo (cf. Mt 4,5), Nemico dell’uomo (cf. Mt 13,28), Principe del mondo (cf. Gv 12,31; 14,30), Menzognero o Anticristo (cf. 1Gv 2,22), il cui scopo è quello di separare l’uomo da Dio, attraverso l’inganno; nonché quello di negare l’identità divina di Cristo e contrastare la sua azione salvifica. Non mancano nella Bibbia tentativi in cui si cerca di definire anche la natura e l’identità del maligno. Il libro di Giobbe, per esempio, si cimenta con questo difficile compito, offrendoci un valido contributo, quando qualifica la realtà del male in termine di “Satana”. Stando alla sua descrizione Satana sarebbe una creatura della corte celeste, il cui compito è quello di sorvegliare la terra e l’umanità a nome di Dio e riferirgli continuamente la loro condizione (cf. Gb 1,6-12).

 

Comments


© Copyright – Luigi RAZZANO– All rights reserved – tutti i diritti riservati”

  • Facebook
  • Black Icon Instagram
  • Black Icon YouTube
  • logo telegram
bottom of page